Pubblicato su: Il Regno, anno III, fasc. 11-12, pp. 3-4
(3-4)
Data: 15 agosto 1906

pag.3

pag.4
3
Nel fascicolo di Agosto del Leonardo, che è uscito in questi giorni, GIOVANNI PANNI (Gian Falco), pubblica questo proclama per una trasformazione della gioventù italiana che siamo lieti di offrire ai nostri lettori perchè consuona in molte parti col vecchio programma del Regno. N.d.R.
Confesso pubblicamente la mia decadenza senza scusarmene: da solitario creatore e distruttore di miti vo diventando propagandista e apostolo delle genti. Vado verso gli uomini. Salgo o scendo? Non so nè voglio sapere. Non posso disobbedire alla voce che mi spinge verso coloro ch'io disprezzai con gagliarde risa e turbai con parole oscure.
Sento — come un mazziniano degli antichi giorni — ch'io posso avere una missione nel mio paese e che debbo far di tutto perchè l'Italia diventi meno sorda, meno cieca e meno vile. Sarò chiamato una volta di più Don Chisciotte. Ma da chi? — Dalla tribù dei Sancio Pancia.
Le sorti d'Italia son quelle del mondo.
MAZZINI, Scritti, VII, 181.
Voglio che una parte, anche piccola, dell'ultima generazione italiana, si liberi da certe tendenze, da certi gusti, da certe debolezze e acquisti invece altri caratteri, nuove passioni e preoccupazioni. Modificare uomini, amputare e ingrandire anime, trasformare spiriti: ecco l'arte mia favorita.
Il mio scopo è dunque ben preciso: non si tratta di un moto politico o religioso, ma puramente spirituale e interno. Morale sopratutto, ma non nel senso comune della parola, vale a dire precettivo e restrittivo. Anzi una delle cose che farà la mia propaganda ben diversa da tutte le altre è questa: ch'io non vengo per proclamare verità belle e fabbricate, per imporre dogmi, per stabilire norme, ma soltanto per svegliare delle anime, per eccitare delle forze, per suscitare sentimenti, per tonificare degli uomini. Io voglio destare dei dormienti, ma non voglio dire, almeno per ora, ciò che debbono fare quando saranno svegliati. A me basta che non poltriscano nei letti delle abitudini e sull'erba della mediocrità: non voglio mettere loro sulle spalle l'indirizzo di destinazione. Quando saranno desti e forti agiranno più e meglio che non ora e può darsi ch'io stesso trovi qualche eccitamento nelle loro azioni imprevedute.
Non sono perciò un venditore di biglietti circolari combinati o un donatore di verità confezionate, ma un risvegliatore e un educatore. Credo più pratico dare a ciascuno delle macchine per fabbricare ciò che meglio desidera, che distribuire a tutti quanti la stessa merce.
Per la stessa ragione non rivolgo la mia propaganda a qualcosa di vago e d'indefinito come gli antichi predicatori e i nuovi apostoli: Non parlo all' Umanità e neppure al Popolo d'Italia: parlo ad alcune centinaia di giovani nati in Italia, nei dintorni del 1880, vale a dire una parte di quella generazione che ha cominciato a pensare e a fare col secolo nuovo. La mia propaganda non si perde tra le nebbie dell'universalità. Mi bastano pochi uomini che sappiano e sentano ciò ch'io voglio. Col loro contagio essi cambieranno l'aria morale di un paese, e il contagio di questo paese potrà cambiare il mondo. Nella cultura, come nella politica, i meno tirano i più. Basta volere con forza e agire con ostinazione e a tutto si arriva.
Io voglio raggiungere il mio fine con tutti i mezzi: coll'esempio personale, coi libri, coi pamphlet, cogli articoli, con le prediche pubbliche, coi discorsi privati e, se occorre, anche coi meetings.
La mia è, come ho detto, una campagna «morale» (nel senso non kantiano della parola) ma bisogna risolversi a usare per la propaganda «morale» anche quei mezzi che oggi si adoperano soltanto per le campagne elettorali e per la propaganda delle chiese e dei partiti. Finora le «cose morali» non eran ritenute abbastanza importanti e gli uomini non si interessavano e non si appassionavano per la conquista di un nuovo carattere spirituale come per quella di una legge o di un dogma. Io penso il contrario. Io sono un uomo per cui il mondo interno esiste e credo che la cultura della nostra anima debba essere l'occupazione più importante per chi vuol essere uomo e più che uomo. Perciò son disposto a impadronirmi per dei fini morali di tutti quegli strumenti di persuasione e diffusione che si usano per fini politici e religiosi. Se ciò accade per la prima volta, tanto meglio per me.
Quelli che hanno compreso lo spirito di questa mia campagna vorranno conoscere subito quali sono i mutamenti spirituali ch'io medito. Eccoli:
Far sentire prima di tutto che non val la pena di continuare la vita mediocre e abituale che conducono la maggior parte degli uomini. Far sentire le fascie dell'abitudini, il disgusto dell'inazione, la nausea delle cose ordinarie e dei fatti comuni. Far sentire che la nostra vita non dev'essere soltanto una povera commedia di umili ambizioni e di decisioni automatiche, una noiosa odissea di lavori forzati, di pranzi, di lascivie, di tristezze, di mali, ma una corrente di energie diretta a qualche grande fine. Far sentire la necessità di fare qualcosa d'importante perchè la nostra vita abbia un senso e qualche bellezza. Strappare le anime dai solchi della vita comune e portarle su in alto, a contemplare da lontano e in libertà i possibili destini degli uomini e la terribile sciocchezza dell'esistenza ordinaria.
Per noialtri giovani italiani del secolo XX quale può essere la cosa importante da compiere? Un nuovo rinascimento ideale dell'Italia. Far dell'Italia un grande centro di cultura, e di alcuni italiani í generali di nuove conquiste dello spirito. Ridare all' Italia il primato intellettuale poichè non può riavere nè quello politico nè quello economico. Roma ha sempre avuto una missione universale e dominatrice. In lei sedettero l'Imperatore e il Papa a dominare e organizzare il mondo. Oggi, a Roma, l'Impero è rappresentato da un buon padre di famiglia, numismatico e automobilista, ed il Papato da un buon curato di campagna, ignorante ed esitante. È necessario che Roma — se pur gl'italiani non hanno perso il potere di vergognarsi, — ridiventi - il centro del mondo e che una nuova forma di potere universale abbia in essa la sede. Mazzini sognò anche lui una sua Terza Roma — un po' troppo spiritualísta e rivoluzionaria e figlia uterina di Lamennais, ma nonostante nobile e grande. La Terza Roma mazziniana è
4
finita tra ì razzi della rettorica anticlericale di Giovanni Bovio e la Terza Roma reale è un quartier generale di travetti e di forestieri. La Terza Roma ideale deve nascere dalla nostra volontà e dalla nostra opera e se i miei compagni non cominciano col sentire fortemente questa necessità possono lasciarmi senz'altro.
Abbiate del coraggio, dell'audacia, della temerarietà e della pazzia: Questo è il mio secondo desiderio. L'anima italiana presente è vile l'ho detto più volte e lo ripeterò finchè non avrò ottenuto che la mia condanna sia falsa. L'Italia è vile: da molti anni, subito dopo che ebbe rimessi insieme i suoi pezzi, si è data alla «politica del raccoglimento». Che cosa abbia raccolto da questo raccoglimento non si vede bene, ma è chiaro che il popolo italiano s'è dato all'umiltà, alla modestia, alla paura, alla rassegnazione con una buona volontà spaventosa. Se un ministro vuol conquistare un pezzetto di terra lontana, si grida alla megalomania — se un poeta vuol arrivare a crearsi con l'immagine un mondo più lussuoso di quello esistente, si grida al superuomo — se un apostolo vuol ricordare ai suoi concittadini che c'è qualcosa di meglio da fare che leggere i fatti di cronaca davanti ad un gelato si grida al Don Chisciotte! E in tutto è così. In politica ci siamo fatti sconfiggere per timidezza, — negli affari abbiamo ottenuto il pareggio a forza di economie esagerate — nella vita comune abbiamo un timore inverosimile del grandioso, del pazzamente ed assurdamente grandioso e un rispetto beghinesco degli scopi misurati e degli ideali a breve scadenza. Ma bisogna che tutto ciò cambi e che l'amore del rischio, della ventura, dello sbaraglio, della carica a fondo, dei sogni enormi e dei programmi eterni entri nell'anima di una parte dei giovani d'Italia. Solo a questo patto noi potremo fondare la nuova civiltà italica; il secondo Rinascimento degli spiriti.
Un' altra qualità degli italiani ch'io voglio fare sparire è l'amore esagerato delle parole inutili. L'Italiano, anche colto, è ciarliero più che attivo. Quando scrive o parla ama i periodi larghi, i ritornelli sonori, le metafore complicate, le circonlocuzioni inutili, í riempitivi ornamentali, i complimenti per convenzione, le promesse tanto per dire, i problemi inesistenti. Invece di dire delle cose e di dirle in breve, come sono e come stanno, senza fronzoli, senza contorni, senza guarnizioni, il buon italiano dice spesso delle pure frasi o dice delle cose con soverchia fronda di trofei e di gonfiature. La rettorica — cioè la non sincerità e lo sfoggio inutile, — è sempre viva dappertutto. Confrontate un discorso o una lettera di un anglosassone con quella di un italiano e vedrete quante più parole e più bugie ci sono in quel che scrive quest'ultimo. Invece di andar dritti al fine, e colle parole appropriate ed espressive, noi giriamo attorno all'argomento, lo involtiamo nelle locuzioni tradizionali, lo lardelliamo d'ipocrisie e lo ricopriamo coi fogliolini dorati del così detto «bello stile». Siamo, per nostra vergogna, insieme agli spagnuoli, i migliori artisti del belletto letterario.
E ci fosse soltanto la rettorica delle immagini! C'è, purtroppo, anche la rettorica dei concetti ed è, quasi sempre, la filosofia. Ci sono di quelli che si divertono seriamente a combinare insieme delle frasi senza significato, ma ben congegnate e piene di parole grandi e grosse, col pretesto di risolvere problemi che non esistono. Contro codesta rettorica concettuale bisogna combattere come contro quell'altra e in questa guerra ci sarà di buon alleato il Pragmatismo, così nemico di tutti i discorsi vuoti e dei problemi illusori.
Poche parole, precise, chiare, sincere e che dicano qualche cosa; ecco ciò ch'io tento di ottenere da me e dagli altri. Scegliamo di essere semplici ed energici villani, invece che ipocriti e cascanti parolai.
E queste non son questioni di parole o di letteratura. La sincerità è a noi necessaria come il coraggio. La sincerità è una forma del coraggio. Noi ne abbiamo bisogno per la più grande delle nostre imprese per la scoperta dei nostri segreti interni, della nostra sorte, dei nostri fini e per la salita ai monti più alti della meditazione. Noi conosciamo poco la nostra anima e non pensiamo abbastanza a noi stessi, non al me piccoletto che cerca l'impiego o la moglie, ma al grande me che non è più di questa casa e di questa città, ma pensa e ripensa al mondo e al suo significato, alla vita e al suo fine.
Noi dobbiamo scoprire noi stessi e quando ci saremo scoperti potremo forse cambiare la nostra direzione. Per far ciò il coraggio, e un grande coraggio, è necessario. Scendendo in noi stessi ci troviamo dinanzi a problemi che possono farci inorridire più di un rettile o di un abisso. Guai a chi non ha forte il cuore contro le paure di sè stesso!
Riflettendo a noi stessi e al nostro destino, siamo forzati a riflettere al inondo e al destino del mondo. Vi sono alcuni problemi ai quali gli uomini temono di accostarsi. Vi sono veramente dei morti? Il mondo sarà annientato o qualche inimmaginabile forma di esistenza succederà alla nostra? Potremo noi rifare il mondo oppure dobbiamo continuare ad essere degli animaletti obbedienti e rassegnati?
Questi problemi o non si pongono o si cerca di scordarli. Enigmi troppo grandi? Domande troppo pazze? Tentazioni troppo paurose?
A noi, giovani Italiani liberati dalla viltà e innamorati dei «folli voli», questi problemi non debbono far paura. Dobbiamo, anzi, trovarne ancora altri e suscitare nei nostri compagni di vita il bisogno di averli sempre dinanzi e di risolverli. Soltanto volgendo la mente verso dí essi potremo temprare una nuova anima e preparare una nuova vita.
Questo è, nelle più brevi linee, il primo proclama della Campagna per il forzalo Risveglio. I giovani italiani sono avvertiti: per la prima volta essi si trovano nella necessità di prendere una decisione importante, che può avere influenza non solo sopra la loro vita ma anche sopra la vita dell'Italia. Sì ricordino che anche il silenzio e il sorriso e l'immobilità sono delle azioni, ma di quelle che non hanno mai trasformato un grandissimo sogno in una grande realtà.
◄ Indice 1906
◄ Cronologia
◄ Il Regno (Firenze)